Resumo | Nella lettera annua del 3 aprile 1596, presentando le diverse attività missionarie e pastorali della
provincia, il padre Pablo J. De Arriaga si soffermava sulla relazione della missione di due padri,
Juan Font e Nicolas Mastrilli Duran, che nell’ottobre 1595 si erano diretti verso le Ande Xauxa per
raggiungere i territori dell’attuale dipartimento di Junin, abitati dai Pilcozones, «indios de guerra»
alla frontiera del viceregno del Perù. Una missione che padre Font tentò atraverso la mediazione
con la Corona, la Santa Sede e il Generale Acquaviva di riprendere e portare a compimento negli
anni successivi. Una popolazione, quindi che la Corona avrebbe voluto portare alla sottomissione e
alla religione cattolica.
Un obiettivo che lo portò al limite della disobbedienza alle disposizioni del suo provinciale e del
Generale stesso ma che incontrò almeno inizialmente il favore della Corona e del viceré. Illuso, ben
intenzionato o semplicemente disobbediente? La letteratura gesuitica ha dato interpretazioni diverse
della condotta di Font, lasciando trapelare un latente giudizio negativo nell’interpretazione dei
documenti che riguardavano quello che Antonio de Egaña definì il «caso Font».
Per comprendere l’interesse e il favore regio alla proposta è necessario tenere conto dello stretto
vincolo che già dal XV secolo – con le conquiste spagnole e portoghesi delle isole atlantiche e delle
coste africane - legava conquista, dominazione politica e conversione. Un legame che legittimava il
potere della Corona e permetteva di immaginare un nuovo ordine sociale. In questo contesto, la
conversione assumeva un significato chiaramente politico e il battesimo diventava uno strumento di
inclusione degli indios nel nuovo ordine sociale e politico. Sul lungo periodo questo comportò una
progressiva trasformazione culturale - un’occidentalizzazione - delle popolazioni sottomesse,
stabilendo forme di dominio durature.
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